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Home/ La Costiera Amalfitana/Praiano/Chiesa e Convento di Santa Maria a Castro

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Chiesa e Convento di Santa Maria a Castro

Sulle pendici del Monte S. Angelo a tre Pizzi a quota 364 m. s.l.m. è ubicata la Chiesa di Santa Maria a Castro, con annesso convento di San Domenico, che domina il vallone Fontanella e spazia la vista sull'abitato di Vettica Maggiore, Positano fino a l'isola de lì Galli e l'isola di Capri.
Del luogo dedicato al culto fin dalle prime antropizzazioni, per l'impareggiabile bellezza della natura e per la solennità della solitudine, si ritrova la prima notizia scritta attorno al 1439.
Da essa risulta che il notar Censone stipulò un atto nel convento annesso alla chiesa di Santa Maria della Sanità in Napoli, tra l'Universitas di Praiano e Vettica Maggiore che possedeva ab antiguo la Chiesa di Santa Maria a Castro amministrandone i beni. Con tale atto l'Universitas concedeva ai Padri Domenicani la chiesa impegnandosi a costruire il convento annesso. Il convento articolato su due livelli presenta quattro celle al primo piano cucina e forno, refettorio e cisterna al piano sottostante. Particolarmente interessante il gioco delle volte di copertura del primo piano, che tra l'altro, presentano un doppio ordine di volte, sistema diffuso nell'area amalfitana, (vedi convento santa Rosa in Conca dei Marini) che assicurava una perfetta coibentazione. Il restauro statico e conservativo ha ripristinato le volte di copertura che risultavano parzialmente tagliate per l'inserimento di un tetto, poi crollato. E forse proprio il non presentare caratteristiche di peculiari componenti architettoniche fa sì che questa struttura si inserisca quasi mimetizzandosi in un ambiente che le si avvolge attorno creando quella maestosità che rende il sito pregno di sacralità e mistero.
E' un rifugio mistico, che nella sua essenzialità di elementi, si inserisce nello splendore della natura circostante congiungendo l'umano e il divino.

L'Affresco
Nella Chiesa di Santa Maria ad Castro, rimane inalterata da secoli la venerazione di una immagine comunemente denominata la Madonna delle Grazie, per il valore taumaturgico da sempre conferitole.
Si tratta in effetti di un grande dipinto ad affresco che occupa l'intero catino absidale della navata sinistra dell'edificio, databile attorno al 1400. La rimozione di un corpo di fabbrica e stucco di epoca settecentesca ha permesso l'intera lettura dell'opera che si sviluppa su due ordini. Il registro superiore è occupato dall'immagine ieratica del Cristo benedicente, affiancata dalle figure dei Santi Pietro e Paolo ed angeli; la parte inferiore della Vergine con il Bambino in trono, con angeli musici e santi. L'iconografia di questi ultimi non consente una precisa identificazione, ma c'è da registrare che il santo in abito vescovile, raffigurato alla destra di chi guarda, è una riedizione dell'originale, di cui si intravedono alcuni particolari (il ricciolo del pastorale e la mitra vescovile) che emergono dal nuovo intonaco. Sulla sinistra, al di sotto del giovane santo con la penna ed il libro, forse San Giovanni Evangelista, si sciorina una piccola processione composta da personaggi in abiti " moderni" , da identificare presumibilmente con i donatori dell'opera. Il perno ideale della composizione è costituito dalle volumetrie del Cristo e della Madonna, intorno al quale sembrano ruotare gli altri personaggi. Il Cristo seduto sul trono, di iconografia tardivamente bizantina, e la Madonna , inserita nella moderna architettura classica del trono-baldacchino, organizzando lo spazio in maniera calcolata : in esso prendono posto , secondo un disegno ben programmato, gli angeli e i santi. Ciò dà ad intendere che l'anonimo artista, nel momento in cui si accingeva a realizzare il dipinto , fosse pienamente al corrente delle istanze pittoriche rinascimentali che andavano maturando nella Napoli aragonese e in tutta l'area mediterranea , a partire dalla metà del XV secolo.
L'intuizione del rapporto prospettico tra forma , luce e colore a cui l'opera è improntata denota l'assimilazione e la personale elaborazione della grande lezione di Piero della Francesca.


Testi di Vincenzo Bove e Lina Sabino

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